In memoria di Dino e Giuseppe

Sergio Ruggiero Perrino | 12-02-2017 | I racconti di antimafia

Dino Gassani aveva 51 anni quando fu assassinato insieme a Pino Grimaldi. Sarà intitolato a loro il Presidio di Libera ad Angri. Il ricordo del figlio di Dino, Luigi.


Il Presidio di Libera ad Angri, che a breve verrà ufficialmente inaugurato, intitolerà la propria sede locale alla memoria di un valoroso ed importante avvocato nato ad Angri, Dino Gassani, che fu brutalmente assassinato dalla camorra a soli 51 anni, il 27 marzo 1981, nel suo centralissimo studio di Salerno. Il presidio verrà intitolato anche alla memoria di un altro coraggioso uomo: l’amico e fedele segretario di Gassani, Pino Grimaldi, anch’egli assassinato in quella tragica sera di marzo.

Abbiamo incontrato, proprio sul luogo della tragedia, il figlio di Dino Gassani, Luigi, avvocato penalista, per farci raccontare la storia dell’illustre genitore, uomo retto che, per un alto senso del dovere, contrastò con diligenza e dignità la camorra, sacrificando eroicamente la propria vita.

Avvocato Gassani in questi lunghi anni lei e la sua famiglia avete rilasciato pochissime interviste sia a testate locali che nazionali. Siete stati molto riservati, e per tale motivo la ringrazio di cuore per aver accettato la nostra intervista che intende approfondire la storia di un eroico concittadino qual è stato suo padre. Una prima domanda è sul presente: come mai Dino Gassani, uomo di grande fede e rettitudine, che ha compiuto diligentemente il suo lavoro di difensore della legge fino agli ultimi tragici istanti della propria vita, è stato ricordato poco o quasi per niente sia ad Angri, suo paese natio, e sia a Salerno dove lavorava in qualità di avvocato penalista?

Ringrazio la redazione de "Il nuovo piccolo giornale" che con questa intervista vuole approfondire la storia di un uomo che semplicemente non si è piegato alle minacce e ai diktat della camorra. Ha ragione: è stato deprimente, e molto grave, il silenzio delle Istituzioni salernitane ed angresi che certamente non hanno fatto una bella figura. Mai nessun Consiglio comunale ha pensato di intitolare una via, un teatro, una piazza o un’associazione alla memoria di mio padre. Non ci sono giustificazioni o spiegazioni logiche per tale indifferenza. Per anni c’è stato solo un deprecabile oblio. Tutti gli altri martiri del nostro territorio sono stati giustamente ricordati in qualche modo, anche chi non ha avuto un processo o un’alta motivazione della sua morte; molti attendono ancora un riconoscimento del proprio sacrificio. La classe dirigente è stata dolosamente e gravemente indifferente rispetto ad un avvocato che eroicamente si è immolato per gli altissimi valori della legge e della giustizia. L’ultima frase, poco prima di morire, al cospetto dei suoi carnefici che lo minacciarono di morte per indurlo a tradire la toga, fu : “Non posso perdere ogni dignità”; testamento morale per tutta l’avvocatura nazionale. Di fronte a tale sacrificio dal sapore antico, difficilmente ripetibile, non si può fare una discriminazione politica o di altre motivazioni a me, e alla mia famiglia, sconosciute. Tengo a ricordare, con grande affetto, anche il sacrificio di Giuseppe Grimaldi, segretario di mio padre, anch’egli morto per difendere la legge e i valori di giustizia. Ma il 29 maggio 2009 è arrivato un prestigioso riconoscimento nazionale: il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha conferito la medaglia d’oro al valor civile all’avvocato Dino Gassani e al suo amico di sempre, Giuseppe Grimaldi, per essersi offerti consapevolmente in olocausto per non tradire la toga e la legge, con tale motivazione: “Con eroico coraggio e grande etica professionale, non si piegava alle pressioni della malavita organizzata affinché abbandonasse la difesa di un imputato appartenente ad una banda di sequestratori, il quale aveva collaborato con la giustizia e consentito l'individuazione degli altri componenti dell'organizzazione criminale. A seguito di un proditorio agguato cadeva vittima innocente della camorra, sacrificando la vita ai più nobili ideali di dignità morale e di legalità. 27 marzo 1981 – Salerno”. La medaglia d’oro al valore civile, conferita per l’“eroico coraggio”, ripaga di troppi anni silenziosi da parte degli Enti locali, e della mancanza di orgoglio e di condivisione delle suddette Istituzioni. La famosa frase evangelica “Nessuno è profeta in Patria”, si è pienamente compiuta con la storia drammatica dell’assassinio di mio padre. Credo che anche un’altra analisi vada fatta: il non riconoscere il sacrificio di un avvocato che si immola per alti ideali, ovvero difendere la legge e il proprio assistito fino a sacrificare la vita, sta a significare che la nostra Regione è ancora oggi un luogo di colpevoli silenzi e di omertà. Oggi, Dino Gassani non ha bisogno di riconoscimenti locali, perché egli è un eroe nazionale. Era però doveroso che le Istituzioni locali lo ricordassero con idonei riconoscimenti. Il mio è soltanto un dispiacere, perché questo oblio ha sottolineato che anche di fronte ai sacrifici di tanti martiri esistono ancora delle discriminazioni politiche e di altro genere. Sono passati quasi 36 anni dalla morte di mio padre e, più volte, il presidente dei giornalisti salernitani, nonché uno dei pochi amici di Dino Gassani, Enzo Totaro, che per me e mio fratello è stato come un padre, in questi anni, ha sottolineato tramite varie testate giornalistiche e non, che Dino Gassani non è stato giustamente ricordato. Dunque non ci sono giustificazioni che tengano. Nemmeno quella di una dimenticanza involontaria. Il sacrificio eroico di Dino Gassani è conosciuto da tutto il mondo forense, da quello politico e dalla società civile.

Ma secondo il suo parere perché è avvenuto l’oblio? Perché ci sono stati anni di totale indifferenza delle Istituzioni cittadine?

Ribadisco, credo che si tratti di un problema politico. Mio padre è stato sempre un uomo di destra e probabilmente il suo pensiero, il suo cammino politico, le sue idee, la sua rettitudine, la sua onestà non interessavano dolosamente ai vari personaggi di spicco della politica locale e regionale. Forse, esaltare una figura proba ed onesta, ma di destra, non faceva e non fa piacere a molti. E dunque dolosamente è stata messa su dalle Istituzioni la macchina dell’oblio. Mi consola fortemente il fatto che il popolo salernitano ha amato, ed ama tuttora, Dino Gassani. E sono davvero orgoglioso e contento che i giovani della costituenda “Libera” di Angri abbiano pensato di intitolare il locale presidio alla memoria di papà. È incredibile che dei ragazzi così giovani abbiano portato avanti questa iniziativa e non invece le Istituzioni locali.

Chi era Dino Gassani? Com’era da adolescente e nel periodo universitario?

Papà, di nome Leopoldo, ha vissuto un’infanzia serena, umile e alquanto deficitaria dal punto di vista economico. I miei nonni, durante la guerra, fecero non pochi salti mortali per mandare a scuola sia lui che suo fratello maggiore, mio zio Silvano. Ha frequentato il liceo classico a Nocera Inferiore e si diplomò con alti voti. La famiglia mi ha raccontato che spesso, a causa di restrizioni varie, papà assieme agli amici di allora, per frequentare le lezioni, facevano addirittura Angri-Nocera a piedi, sprofondando anche nei lapilli. Fin da ragazzo aveva manifestato il desiderio di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza. E così avvenne. Superò brillantemente gli esami e, dopo gli anni del praticantato, divenne avvocato penalista, aprendosi un suo studio nel centro di Salerno. Fin da giovane ha conciliato il lavoro, la famiglia e l’impegno politico. Si iscrisse al Movimento Sociale Italiano. All’età di 24 anni si candidò alla Camera dei Deputati prendendo ben 30 mila preferenze. Un risultato storico, in un partito piccolo che allora stava al 3%, ma che, purtroppo, non gli valse l’elezione a Montecitorio per pochi voti, anche in considerazione del fatto che molti, proprio per la sua schiettezza e per la sua grande personalità, lo tradirono politicamente, a vantaggio di altri. Continuò il suo cammino politico. Erano gli anni della ricostruzione e la battaglia nell’agone politico era alquanto forte, e per tale motivo non mancarono scontri anche violenti tra la sua parte politica e i comunisti. Mi raccontò che durante un aggressivo tumulto ebbe il distacco della retina, a seguito di uno scontro fisico con avversari politici dell’epoca, e questo grave incidente gli condizionò parte della sua vita. Da uomo della destra liberale si pose nei confronti del Fascismo con atteggiamento di giustizia e di verità storica e mai con velleitaria imitazione. Egli sognava una destra europea: famosi sono stati i suoi scontri presso il Comitato Centrale di Roma, di cui era membro. Sovente si scontrava con gli esponenti più conservatori del MSI. Infatti abbracciò il pensiero della Destra liberale ed europea del segretario Arturo Michelini, che purtroppo morì prematuramente nel 1969, in procinto di dare alla destra un’immagine liberale ed aperta al confronto.

Anche se è straziante e doloroso, può raccontarci l’efferato omicidio di suo padre?

Fu assassinato assieme all’amico Pino Grimaldi, agente di sicurezza e all’epoca dei fatti sua guardia del corpo privata, la sera del 27 marzo 1981 a Salerno. L’omicidio fu ordinato da Raffaele Catapano, luogotenente di Raffele Cutolo e compiuto dai sicari Mario Cuomo e Antonio Schirato. Qualche anno prima, nel 1978, mio padre assunse la difesa di un certo Biagio Garzione che era stato il telefonista dell’anonima sequestri che organizzò i rapimenti di due importanti figure del territorio campano: l’industriale Ambrosio ed il banchiere Amabile. Fu così che papà difese senza cedimenti il suo cliente, che si era pentito rivelando i nomi degli altri correi, responsabili dei sequestri e di altri efferati omicidi di camorra. Dino Gassani diveniva così un avvocato pericoloso e scomodo per l’intera camorra napoletana. Egli preferì morire, anziché tradire la sua toga ed i suoi valori. E, come ricordò l’avvocato Pasquale Franco, insigne principe del Foro di Salerno, mio padre si era sacrificato come Socrate, e lo stesso avvocato fu il promotore della intitolazione dell’aula consiliare di Salerno a Dino Gassani. In quel periodo la camorra rivolse minacce di morte a Dino Gassani per più di tre anni, al fine di indurlo a far ritrattare tutto al Garzione e scagionare la banda dei sequestratori. Ma papà non si piegò a tali minacce. Nel 1979 ad Avellino, durante il processo all’anonima sequestri, Catapano minacciò pubblicamente mio padre urlando davanti a tutti: “Garzione è l’attore e l’avvocato Gassani è il regista”. Nonostante le gravi minacce che furono proferite, la delicatezza del processo ed il pericolo a cui andava incontro, per mio padre non fu mai predisposta la scorta. Nel corso dei successivi anni, per intimidirlo, furono molte le minacce verbali, le lettere anonime, gli avvertimenti di ogni tipo che provennero dai detenuti delle varie carceri italiane appartenenti alla Nuova Camorra Organizzata. I due sicari, Cuomo e Schirato, nel pomeriggio del 27 Marzo 1981, avevano chiesto e ottenuto un appuntamento da mio padre spacciandosi per nuovi clienti e fornendo generalità false. I killer, una volta giunti all’appuntamento, dichiararono invece di essere stati mandati da Catapano e minacciarono di morte papà se non avesse convinto il Garzione a ritrattare immediatamente le accuse alla NCO. Mio padre reagì alle loro minacce e i due sicari spararono, colpendo a morte sia mio padre che il suo amico Grimaldi. Il primo a scoprire l’immane tragedia consumatasi nel suo ufficio fui io, all’epoca quindicenne. Trovammo sulla scrivania un appunto scritto da mio padre. Una frase, un breve aforisma che sintetizza meravigliosamente l’intera vita di mio padre: “Non posso perdere ogni dignità”. Un nobile testamento morale rivolto a tutto il mondo forense e a tutta la parte sana dell’Italia. Le motivazioni della morte di Dino Gassani sono state riconosciute negli atti processuali, con la condanna all’ergastolo dei responsabili.

Un ultimo pensiero che vuole lasciare in calce a questa intervista.

Dopo la tragica morte di papà, la nostra vita è stata durissima. Mia madre Luisa e i miei nonni, eroicamente e con immenso amore, hanno alleviato le atroci sofferenze mie e di mio fratello Gian Ettore, entrambi, all’epoca dell’omicidio, poco più che adolescenti. Voglio ricordare in particolar modo mia madre, che con orgoglio e tanti sacrifici ha saputo tenere la famiglia unita ed ha onorato, ed onora tuttora, con classe, eleganza ed amore mio padre. Tutta la famiglia ha ritenuto opportuno creare una fondazione in onore di papà, perché la sua testimonianza di uomo di legge e di giustizia non venga mai dispersa, e il suo grande messaggio di dignità e coraggio sia di stimolo alle nuove generazioni.